Più esperienza per ricercare il senso delle cose (e battere l’omologazione)


Fonte:Il sussidiario.net. Articolo del 17.04.2024 di Nora Terzoli. Per imprimere una svolta e favorire il protagonismo degli studenti servirebbe alla scuola una svolta, non semplicistica, verso l'esperienza come metodo

In diverse occasioni la scuola è stata negli ultimi tempi al centro di dibattiti, anche molto accesi, per questioni di diversa natura, ma tutte piuttosto marginali. Non altrettanto frequentemente si assiste invece a considerazioni che vadano al cuore della sua funzione istituzionale e oltre le divisioni politiche o partitiche.

Gli interventi strutturali sulla scuola nel nostro Paese non sembrano essere tra le priorità della politica, come ricorda Francesco Billari, rettore dell’Università Bocconi, in un suo recente testo, Domani è oggi (Egea, 2023), in cui riflette sulla questione demografica: “l’Italia ha quindi un (altro) grande problema: la scuola. Una questione irrisolta che diviene ancor più importante per il declino delle nascite e per la sfida dell’invecchiamento che il paese sta affrontando. […]  Non vi è convergenza, né sulle diagnosi della situazione dell’oggi, né sulle soluzioni per il domani; spesso vengono messi in discussione i dati stessi, la fotografia della situazione attuale” (pp.35-36).

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Il quadro appare ancora più critico se a questa difficoltà si uniscono i segnali di disagio che gli studenti manifestano da tempo.

Ansia, dipendenze, disturbi alimentari, ritiro sociale, autolesionismo, scollamento tra la vita quotidiana e la frequenza scolastica sono le criticità, a volte drammatiche, che vivono i nostri giovani. Si tratta di fenomeni sfidanti per gli adulti che lavorano nella scuola e che non possono essere trascurati.

Senza avere la pretesa di offrire risposte, che sarebbero ovviamente parziali, semplicistiche e ingenue, si potrebbe almeno cercare di privilegiare, per rispondere al disagio di cui tanto si parla, un modo di fare scuola che favorisca il protagonismo dei diversi attori in gioco, siano essi giovani o adulti, consentendo il più possibile l’approccio a un sapere esperienziale.

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Qualsiasi riforma di sistema infatti, pur necessaria, non basterebbe, se non fosse coniugata all’iniziativa e alla creatività intelligente di chi vive quotidianamente tra le mura scolastiche.

Il termine esperienza indica qualcosa che ha profondamente a che fare con l’io e con la realtà, qualcosa dunque che è per definizione alternativo all’astrattezza e allo scollamento con la vita, all’accumulo di fatti senza legami. Come favorire dunque l’incontro con la realtà a scuola?

Creando per esempio una breccia nell’eccessivo disciplinarismo, a favore di un’interdisciplinarietà alla ricerca continua di nessi, evitando di cadere nello scientismo, in forme esclusivamente assertive del sapere, che, per sua natura, procede per approfondimenti continui e per approssimazione. Le discipline non sono l’orizzonte ultimo della conoscenza, sono solo punti di vista, prospettive per conoscere la realtà.

I docenti a scuola promuovono esperienza quando nella progettazione delle loro attività partono da problemi reali, rispondendo e tenendo desta la curiosità dei ragazzi. I problemi reali non sono necessariamente quelli della stretta attualità, ma domande che sollecitano risposte che non eludano la ricerca del senso. La curiosità dello studente non è alimentata innanzitutto dall’attualità, quanto da problemi che rimandano alla ricerca del senso e che implicano l’io. La ricerca ossessiva della novità a scuola non può che essere perdente, perché oggi la tempestività e l’informazione sull’attualità sono messe a disposizione in tempo reale dalla tecnologia.

Lo ricorda in modo efficace Giorgio Chiosso, in Rileggere “Il rischio educativo” quasi cinquant’anni dopo, in Introduzione alla realtà totale (Mondadori, 2023): “La ricerca del senso si configura non solo come un problema, ma come il problema. Ed è proprio in quanto protagonista di questa radicale questione che l’uomo si svela non destinatario di un’educazione all’adattamento, ma di un’educazione alla libertà, cioè della disposizione a indagare oltre la realtà, a misurarsi con ciò che “non è ancora” o “non è subito”, ad accettare la sfida (e il rischio) dell’imprevisto e del nuovo che ci interpella. È questa disposizione a sostenere la libertà che ci apre all’infinito (p. 19).

Il valore dell’esperienza non risiede nell’opportunità di provare più situazioni, come se l’essere maggiormente esperti coincidesse con un valore numerico, con l’accumulo di fatti, quanto nella necessità di ricercare il senso, il legame con il tutto, nell’andare oltre il semplice dato.

L’apprendimento non è un adattamento, ma un atto di libertà, necessita infatti di una scelta consapevole, non può essere subito, come ricorda Daniela Lucangeli, in A mente accesa (Mondadori, 2020): “Un approccio finalizzato a valutare e stabilizzare le prestazioni degli studenti sfrutta due sole direzioni del flusso dell’intelligere: ‘da fuori a dentro’ (la lezione), ‘da dentro a fuori’ (la prestazione). Non esercitare la terza direzione del flusso (‘da dentro a dentro’) è però limitante: il cervello è una struttura vivente. Per cui ingozzando i ragazzi di informazioni, che non vengono rielaborate ‘da dentro a dentro’, la scuola non permette di trasformare quelle conoscenze in competenze utili per il futuro e per lo sviluppo della persona”.

Il “da dentro a dentro” è un atto libero, che può però essere facilitato da un insegnamento che favorisce e propone esperienze e che aiuta a non cadere nell’adattamento e nell’omologazione.

Solo per fare qualche esempio molto semplice, la necessità di promuovere le STEM, come è accaduto nella scuola che dirigo, si può raggiungere più facilmente con la proposta di alcune esperienze: un fine settimana immersivo in montagna per la scuola secondaria di primo grado, che coniuga escursioni a lavoro sulla matematica, una giornata di STEM al femminile con gli interventi di donne professioniste e ricercatrici, che raccontano come hanno raggiunto i vertici nelle professioni STEM, l’apertura serale della scuola primaria per osservare, accompagnati da un’associazione di astofili, il cielo o ancora “la sagra della scienza” all’interno della quale gli studenti della scuola secondaria realizzano, guidati da un team di giovani ricercatori, un progetto lavorando in team.

L’apprendimento si configura, come ricorda Lucangeli, sempre in A mente accesa, come un “processo psichico che consente una modificazione durevole del comportamento per effetto dell’esperienza”.

L’esperienza è dunque la condizione perché l’apprendimento si caratterizzi come modificazione durevole, che permanendo nel tempo, diventi fattore di novità e di crescita della persona.

Le esperienze non possono che chiamare in causa l’io, interpellano la persona, non la possono lasciare indifferente. La consapevolezza dell’io cresce nella ricerca del significato, di ciò che va oltre i singoli fatti, nella sintesi operosa dei nessi.

In un mondo che corre con una grande velocità non è più possibile procedere per accumulo di conoscenze; difatti occorre avere il coraggio della scelta, consapevoli che qualcosa è necessario tagliare, per poter lavorare più in profondità, per garantire l’esercizio del giudizio e della critica.

L’apprendimento esperienziale scongiura la separazione tra soggetto e oggetto del sapere. Lo studente diventa protagonista nell’avventura della conoscenza, guidato dalla professionalità di docenti, che cercano di introdurre i ragazzi nelle loro passioni e competenze.



 
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